Recensione del 21 dicembre. La lettera


 

Uno spettacolo dal sapore antico, dal ritmo incalzante, di quelli che, se alle prime “battute” te ne stai seduto al tuo posto anche un po’ perplesso, nell’arco di pochi istanti ti prende e ti ci conduce per mano (mentre altri fra il pubblico c’erano entrati nello spettacolo addirittura prima che cominciasse!).

Il primo immediato rimando (perché abbiamo sempre bisogno di riferimenti, tutti, sia l’artista che lo spettatore) è a “Esercizi di stile” di R. Queneau e fin qui niente di nuovo (anzi, un po’ superato direi…); la “novità”, ciò che sorprende, è che nella molteplice ripetizione della stessa azione i cui protagonisti assoluti sono una bottiglia di vino e una lettera (mentre una sedia, un tavolo e una cornice fanno da co-protagonisti), si ha la sensazione iniziale che l’attore sia del tutto governato dai suddetti oggetti, del tutto sopraffatto mentre, man mano che si procede nelle quindici variazioni sul tema ci si rende conto (ovviamente) che è lui a governarli con perizia e precisione, non lasciando nulla al caso o lasciando che il caso diventi stimolo ulteriore per sorprendere prima di tutto se stesso, per “ri-esercitarsi” nell’esercizio.

Bravo dunque P. Nani, bravo clown, bravo mimo, bravo direttore di un’ orchestra fatta, come si diceva, da semplici oggetti, da una macchina complessa quale il corpo umano (il suo!) e da un pubblico che in modo attivo prende parte entusiasticamente a questo divertente gioco teatrale.

Recensione dello spettacolo del 3 dicembre. ITALIA BRASILE 3 A 2


La Stagione di Teatro Aperto è iniziata con la rappresentazione di Davide Enia, Italia Brasile 3 a 2, storico ed epico incontro di calcio che, il 5 luglio del 1982, aprì la strada agli azzurri per la vittoria ai mondiali. Enia dopo un breve preambolo funzionale a farci fare un salto nel tempo di circa trent’anni, inizia il racconto di quei 90 minuti, l’Italia contro i giganti del Brasile, ed ecco che il calcio diviene epico, ma anche racconto popolare, mezzo per ricordare e farci rivivere un mondo che non c’è più.

Accompagnato da due chitarristi Enia usa la metrica e l’impianto del cuntu, antica arte fabulatoria siciliana, per raccontarci quell’impresa come se fosse uno scontro, una battaglia di eroi d’altri tempi, come se quei giocatori, che ci portarono nell’olimpo del calcio, fossero i protagoniosti di un poema cavalleresco, belli ed invincibili. Un escamotage, o forse no, per raccontarci di una umanità antica, fatta di zii, cugini, sorelle ed amici tutti accalcati davanti al televisiore a colori, il primo per quella famiglia palermitana, comprato proprio per l’occasione, una riunione familiare quindi, calda e fragorosa, fatta di riti scaramantici e di competenze ed astuzie a volte sin troppo decantate; già sudati, nervosi, ma pronti perché quella volta in campo c’era il popolo italiano, tutto unito per un’impresa che si sarebbe detta storica.

Il tutto raccontato ad un ritmo esaltante che liberamente e sapienetemente riesce a passare dal campo di gioco alle vicende che accadono al di qua del televisore, attimi comici, febbrili, ma anche di disperazione, perché quella partita l’abbiamo vinta, persa, poi ancora vinta e poi di nuovo persa, fino a quando non abbiamo siglato il definitivo 3 a 2.

Lingua italiana, forme dialettali, calcio e sentimenti nazional popolari, questi sono gli elementi che Enia ha saputo mescolare in una sintesi di singolare potenza espressiva, per uno spettacolo tutto da vedere e da gustare.

 

L’ass. SantaBriganti presenta: Italia Brasile 3 a 2


Teatro Aperto apre la stagione del Teatro Vittoria Colonna il 3 dicembre con Davide Enia che con il suo spettacolo cult Italia – Brasile 3 a 2 ci riporta al 1982, epopea sportiva ed umana che aprì le porte alla vittoria italiana del Mundial di Spagna. il 21 dicembre sarà la volta della Lettera di di Paolo Nani, attore riconosciuto a livello ionternazionale come uno dei maestri del teatro fisico.
La stagione prosegue il 29 gennaio con Desideranza spettacolo intimo e profondo che porta alla ribalta nazionale la compagnia dei Teatri Alchemici di Palermo. Ancora Palermo a febbraio con il bravissimo Filippo Luna (insignito del prestigioso premio dell’Ass. Naz. Critici del Teatro proprio per questa interpretazione) che porta sul palco di Teatro Aperto Le mille bolle blu. La rassegna chiude il 25 marzo con un bell’esempio d teatro sociale: è bello vivere liberi! spettacolo magistralmente intepretato da Marta Cuscunà ispirato alla vita di Ondina Peteani, prima staffetta partigiana.

Vittoria, Teatro Comunale “Vittoria Colonna” ore 21

Davide Enia

Italia – Brasile 3 a 2

di e con Davide Enia

Musiche in scena

Giulio Barocchieri

Fabio Finocchio

 

Premio speciale UBU 2003
Premio Hystrio e Premio Olimpico ETI 2005
Premio “Vittorio Mezzogiorno” e Premio “Vittorio Gassmann” 2006

Il calcio come epica umana, come racconto popolare, come memoria collettiva unificante e identificante. Davide Enia ci riporta alla storica partita del 5 luglio 1982 in cui l’Italia di Enzo Bearzot sconfisse il Brasile già dato come campione del mondo. Lo spettacolo è un coinvolgente gioco a incastro: si moltiplicano i racconti, seguendo la trama delicata della partita: tornano a vivere le gesta del quarantenne Zoff, del «bellissimo» Antonio Cabrini, del «generoso» Ciccio Graziani, ma anche di Zico, Falcao…nomi entrati nella leggenda: eroi, appunto, di una stagione ormai lontana.
Davide Enia canta la storia di tutti noi, assiepati con amici e familiari davanti al televisore, pronti ad appassionarci, a soffrire e gioire come accadde quel giorno nel tinello palermitano di casa Enia.
Così come avvenne quel pomeriggio di inizio luglio nelle case di tutta Italia.

 

9 aprile 2010 Teatro Vittoria Colonna. L’ASINO ALBINO


In Anteprima regionale, la rassegna Teatro Aperto è lieta di annunciarvi il suo ultimo appuntamento.

di e con ANDREA COSENTINO

regia ANDREA VIRGILIO FRANCESCHI

Artista dalla cifra stralunata e solitaria, dalla comicità sferzante e cupamente riflessiva, Andrea Cosentino si è da tempo conquistato un suo pubblico. Fattosi apprezzare, nel 1998, con un programmatico La tartaruga in bicicletta in discesa va veloce, affermatosi poi con Antò le Momò, e come attore protagonista dell’ Andromaca diretto da Massimiliano Civica, questo attore dichiaratamente comico è esploso, presso il grande pubblico, con la partecipazione alla trasmissione Ciro presenta Visitors, in cui ha portato i suoi personaggi cinici e spaesati. È bravo a osservare il mondo, Andrea Consentino, a guardare questa nostra Italietta piccina e trombona: la guarda con disincantato acume, con una sferzante ironia che non si trasforma mai in volgare satira.

Questo spettacolo è, per Cosentino, l’occasione per portare in scena una carrellata di personaggi scriteriati, ma anche per raccontare con partecipata emozione la storia di uno dei tanti Br rinchiusi in quello che fu il carcere di massima sicurezza. Un gruppo di turisti in giro per l’isola dell’Asinara, un tempo lazzaretto e campo di concentramento e carcere di massima sicurezza, oggi area protetta per la conservazione di un ecosistema naturale. I visitatori sono macchiette tratteggiate a pennellate grossolane nel loro aggrapparsi con ferocia svagata al presente, in una coazione a rimuovere il presentimento della fine. L’asino albino è il racconto di uno spettacolo, l’impossibilità del suo farsi che scivola in una epifania derisoria e tragica, in una apparizione invisibile per eccesso di luce.

Recensione allo spettacolo del 20 marzo. 84.06


Lo scorso 20 marzo è andato in scena, al Teatro Vittoria Colonna, la rappresentazione “84.06” del collettivo artistico romano Santasangre.

Sin dall’inizio è stato ben chiaro che avremmo assistito a qualcosa di diverso.

Niente sipario. Nessuna attesa. Due dei performer sono già sul palco. Impettiti e distaccati ci osservano senza batter ciglio. Le loro tute anonime li identificano. Non hanno né armi né gradi, non sembrano soldati anche se la loro postura, il loro aspetto, li ricorda. Accanto a loro due tavolini, con due computer e di sottofondo il gracchiare di una radio non ancora sintonizzata.

La rappresentazione non è ancora iniziata, scambio due parole con il mio vicino, ma sono disturbato (anche lui, ma me lo confesserà solo all’uscita da teatro), infastidito da quei due e dal gracchiare della radio.

Finalmente si spengono le luci, i due prendono posizione ed iniziano a lavorare. Un sistema di carrucole fa cedere pesantemente e ripetutamente dei pesi sul palco o meglio su un muro di cemento costruito sul palcoscenico. Una, due, tre volte finché non è ridotto in macerie.

Si illumina la parte più remota del palcoscenico, compare un uomo, si è appena svegliato, è in una stanza, in una teca di vetro. La radio ha smesso di gracchiare, adesso trasmette degli oridini perentori e lui, l’uomo nell’ampolla, li esegue in silenzio. Sono movimenti ripetitivi, meccanici a volte sincopati. Lui, che viene identificato solo con un numero di serie, non è solo. Una serie di ologrammi, di suoni ed una musica ipnotica lo accompagnano, lo esortano e lo costringono. L’atmosfera è cupa, asfissiante, e più la performace va avanti più la costrizione si fa viva.

Le associazioni sono immediate e non c’è bisogno di nessuna elaborazione. Il parallelismo con opere quali Fahrenheit 451, di Ray Bradbury, o con 1984, di George Orwell, è lapalissiano. La critica o il “racconto” della società di massa è sotto gli occhi di tutti.

E’ un crescendo di proiezioni vomitate sullo sfondo e al suo fianco, di suoni deflagranti, di violenza fisica che ne determina la ripetitività ossessiva dei gesti. Scorre così lo spettacolo lasciandoci senza fiato, sino alla dichiarazione.

A loro, a quest’Ente sovraordinato, a questo Grande Fratello, non interessano i suoi peccati, il suo passato, ciò che loro hanno a cuore è la sua volontà, che ben presto sarà piegata all’unico pensiero. Non è il suo agire che si vuole bloccare, è il suo istinto a pensare che va annientato.

84.06 è un’opera sofisticata, che riesce ad annullare progressivamente categorie come lo spazio e il tempo, sempre più entità amorfe, totalmente asservite alla sapiente manipolazione dell’Ente, non a caso il racconto si conclude così come era iniziato. Quasi un omaggio all’eterno ritorno nietzschiano, scopriamo che è lo stesso protagonista a manovrare il sistema di carrucole affinché quel muro, sempre meno materico, possa esser dissolto una volta per tutte.

84.06 è uno spettacolo claustrofobico, piacevolmente angosciante, forte dell’assenza di qualsiasi dialogo verbale, risulta capace nell’indicarci il percorso inevitabile dell’omologazione.

Prevendita: Agenzia Viaggi Macauda-Denaro via Bixio,113/a -Vittoria – tel. 339.2928965
da lunedì al venerdì 9.30/12.30 – 16.30/19.30

Recensione allo spettacolo del 19 febbraio. NATI IN CASA


Ci sono degli spettacoli o meglio delle manifestazioni artistiche davanti alle quali non si può che rimanere sconvolti. Quando l’artista riesce grazie alla sua techne a sfiorarti nell’intimo, lui ha raggiunto il suo obiettivo e tu non puoi che impallidire dinnanzi alla potenza e alla bellezza dell’arte. Se non avete visto lo spettacolo potrete sicuramente pensare che ad esagerare ci vuol poco e vi do ragione, ma aggiungo solo che un intero teatro è rimasto seduto ed in silenzio dopo la fine dello spettacolo, in attesa del rientro di Giuliana Musso e non per l’applauso di rito, ma per sentirla parlare un’altra volta.

“Nati in Casa” è uno spettacolo del cosiddetto teatro civile o di denuncia o come lo definiscono gli stessi autori in-civile. Un racconto brillante ed al contempo drammatico e non solo perché ogni tanto la Musso alleggeriva il peso dei fatti con delle battute studiate ad hoc, per colpirti là e farti ridere, ma perché lo spettacolo è diviso in due momenti precisi. I primi dodici minuti sono divertenti ed esilaranti perché ci raccontano le paure della partoriente e del come questa viene fatta partorire in ospedale. I restanti 45 minuti, invece, sono dedicati al tempo e all’atmosfera di quando si nasceva in casa, perché il parto è una questioni di tempi e questi sono di esclusiva pertinenza della donna incinta.

Lo spettacolo è una critica feroce alla mercificazione del corpo nella società odierna. Detto in altri termini è la riproposizione del tradimento di quella promessa fattacci dalla tecnologia di un sicuro e progressivo miglioramento delle nostre esistenze.

Il tempo è denaro, lo sentiamo dire troppo spesso e la cosa è ancor più drammatica quando questo tempo riguarda la vita umana.

Raccontando di Elena, Maria, Palmira e Gilda, quattro levatrici vissute lo scorso secolo, la Musso ha ricordato che cosa è un parto, la sua naturalità ed il fatto che ogni parto è una storia a sé. Quattro donne del nord-est, ignoranti, magari burbere e segnata dalla vita, che però erano consce del ruolo fondamentale che ricoprivano in quella società, loro erano deputate ad aiutare le partorienti, a seguirle in uno dei momenti più delicati della vita di una donna. La lacerazione della donna durante il parto era considerato un errore ed un orrore da evitare. La donna può e deve partorire senza lacerazioni. Oggi quei tempi si sono ristretti, sono diventati artificiali ed indotti, una donna se arriva in ospedale è perché deve partorire, allora era la levatrice che andava dalla partoriente e l’attendeva. Oggi la priorità è l’ospedale con i suoi costi, i suoi turni e i suoi tempi, in una parola la sua razionalità, allora era la madre e il bambino che portava in grembo che dettavano legge.

Tutto ciò è spiegato dalla Musso con i suoi gesti, cadenzati e misurati o modulato la sua voce all’occorrenza, ora greve, ora alta, ora squillante. Quegli stessi tempi parevano via via disegnati dai suoi passi, che pian piano costruivano una rete intorno allo spettatore sino al punto, che questi era lì, nella stanza della partoriente e quasi poteva sentire il tepore dell’acqua in ebollizione o l’odore delle lenzuola fresche di bucato.

La poesia del lieto evento raccontata alla Musso da una certa Rosetta oggi ostetrica disincantata, ma che assistette e si innamorò di questo mestiere in una notte del 1969 quando Elena, la levatrice, la comare fece partorire sua sorella Rosina, oggi, in parte, la si è persa indaffarati come si è a comprare, registrare, annotare cose che nulla hanno a che vedere con il parto.

teatro aperto. NATI IN CASA


VENERDì 19 FEBBRAIO ORE 21 PRIMA REGIONALE NATI IN CASA di e con GIULIANA MUSSO regia MASSIMO SOMAGLINO

Si nasceva in casa, una volta. Nei paesi c’era una donna che faceva partorire le donne. La “comare”, la chiamavano, era la levatrice, l’ostetrica insomma. Nati in casa racconta la storia di una donna che fu levatrice in un paese di provincia di un nord-est italiano ancora rurale. Storia tutta al femminile, dunque, storia di una dedizione costante e quasi sommessa al destino di una gente, che dura una vita e che non si risolve mai in un unico eroico gesto ma che rivoluziona il mondo dal di dentro, piano piano. Infatti questa vicenda non si trova nei libri di storia ma nel ricordo delle persone. Eventi straordinari di vita quotidiana. O eventi quotidiani di una vita straordinaria. Come nascere. Prima la testa, poi le spalle…e sei nato. LA REPUBBLICA “… il monologo scritto da Massimo Somaglino che firma la regia e da Giuliana Musso, bravissima interprete , rappresenta certamente un piccolo evento da non perdere.»

 Per maggiori informazioni visitate il sito:

 www.santabriganti.org

BOTTEGHINO Posto unico € 10 Ridotto under 18 € 8

prevendita: Agenzia Viaggi Macauda-Denaro via Bixio,113/a -Vittoria – tel. 339.2928965

da lunedì al venerdì 9.30/12.30 – 16.30/19.30 sbigliettamento: Teatro Vittoria Colonna 45 minuti prima dell’orario d’inizio spettacolo

Teatro aperto. “LA CANZONE DEGLI F.P. E DEGLI I.M.”


Recensione allo spettacolo dell’8 gennaio – Vittoria

Questo testo, tratto dal libro della Morante Il mondo salvato dai ragazzini, è un testo che risale al 1968 scritto in un periodo particolare, ma in fondo quelli erano anni particolari.
Sin dall’inizio c’è qualcosa di strano, non si è abituati a stare in teatro con le luci accese, tutto è luminosissimo, hai difficoltà a concentrarti, non capisci che succede, perché i tecnici si attardano, ma poi la sorpresa è ancora più grande.
Entra l’attore, il sipario si apre e lo sguardo va oltre le quinte, che non ci sono più. Vedi il muro vuoto. Lo vedi spogliato il teatro, lo vedi in una veste che non è propriamente la sua, scompare l’architettura di quello spazio e lo spettacolo diventa corale.
Lo spettatore in qualche modo viene chiamato in causa, viene obbligato a non sentirsi al di qua o al di là, che poi è la stessa cosa, ma a stare in mezzo. In qualche modo lo riguarda direttamente, in un certo qual senso non può fare finta di non esser-ci.
Quattro, sono quattro attori. Un medico, due portantini ed un pazzo. Siamo in un manicomio. Lo spettacolo è fisico, è gridato a tratti violento, gli attori si stancano, corrono, sudano, lo percorrono tutto il teatro, in lungo e in largo. Corrono attraversano la platea e salgono nella galleria e poi giù di nuovo in platea, una, due, tre, quattro volte, si rincorrono, sudano, sono affannati. Mi piace. Ci sono anch’io con loro. Ma che fanno?
Niente. Il pazzo scappa. Il cosiddetto pazzo prova a raccontarci come stanno le cose e loro, che lo hanno in custodia, lo devo trattenere, lo devono bloccare e sedare, lo devono allontanare da noi, devono estinguere qualsiasi possibilità di contatto, non possono correre il rischio che questo pazzo ci contagi, ci spieghi. Il medico ce lo dice, ci mette in guardia e si scusa con noi, non vuole che noi ci preoccupiamo, non vuole che la nostra attenzione sia destata, perché se ciò avvenisse potremmo concordare col pazzo o quanto meno porci delle domande e ciò non deve accadere.
Il tutto si ripete freneticamente per circa 40, 45 minuti forse 50, non lo so ho perso la cognizione del tempo (… ma non perché sono sconvolto!). L’argomento non è nuovo, noi siamo figli del nostro tempo e questo è un tema sviscerato da tempo, appunto da quarant’anni, ma non per questo è noioso o scontato, come qualcuno ha pur detto. No, lo spettacolo ci sta tutto e loro fanno di tutto per rendergli onore, la loro fatica, le facce rosse, l’ansia dei loro corpi la si rivede nel testo della Morante e nelle parole e queste in quelli. Ad un certo punto il medico ci casca pure, ha un sobbalzo di coscienza, da quasi ragione al pazzo, ma poi subito viene ricondotto alla placida tranquillità dei molti, infelici, ma sereni, perché protetti dalla massa e perciò ottenebrati. 

Teatro delle Albe Con Alessandro Argnani, Luca Fagioli, Roberto Magnani e Alessandro Renda.
Regia di Marco Martinelli

Teatro aperto. “MARI”


Recensione allo spettacolo del 29 Gennaio – Vittoria

Tutto è buio e una fioca luce illumina lui, un pescatore, un uomo in riva al mare. Dopo poco arriva una donna, scoprirai presto che è la moglie. La coppia è quella che un siciliano conosce bene. È una coppia stereotipata, per fortuna in via di estinzione. Per fortuna il mondo cambia ma non così velocemente come vorremmo. Lei timida, ma neanche troppo, lui burbero, ma a modo suo. Lei sicuramente pedante ed insicura e lui, ormai se l’è sposata, forse avrebbe fatto meglio a star solo, ma no in fono la ama, ma non lo deduci subito, perché questo spettacolo è lento, lentissimo quasi una pantomima di uno spettacolo russo di fine ottocento, peccato che loro sono siciliani e che lo spettacolo è in dialetto messinese.
Dopo pochi minuti dall’inizio, mi sono chiesto se era giusto pensare che già quello spettacolo mancava di tensione. In fondo lei era snervante e lui non voleva sbottare, ma in qualche modo soffriva, gli elementi c’erano tutti per… ma no, scorreva lento e monocromatico.
Uno spettacolo trascinato, un linguaggio trascinato, con i gesti trascinati. Pareva non finisse mai e poi di nuovo tutto da capo, ma senza senso, senza vitalità. D’accordo la coppia sicula, chissà di quale era, ignoranti e gravati dall’impossibilità ed incapacità di comunicare con se stessi, figuriamoci poi con la moglie o col marito. È un tema interessante che dovrebbe avere poco a che fare con la noia, che invece mi stava abbattendo. Dopo poco mi decisi, non mi potevo fare alcuna remora. Avevo tutto il diritto di dubitare o degli attori o della trama. Alla fine propensi per la trama del tutto inesistente. A meno che lo spettacolo non fosse durato 17 minuti, allora sarebbe stato accettabile e non mi sarei annoiato tanto. Ma uno spettacolo di 17 minuti ha senso? Forse No.
Due cose, però, mi sono piaciute. 1) la sensualità dei due quando sfiorano mano nella mano il mare. Un mare che tutte e due non avrebbero mai visto dallo stesso punto di vista. Tristemente reale, appunto non riusciranno mai a comunicare.
2) lui per tutto lo spettacolo pesca, non con la canna ma con al lenza, che continua a mollare e riavvolgere, mollare e riavvolgere, sembra proprio una metafora del dialogo che ha con sua moglie.

 
Con Tino Caspanello e Cinzia Muscolino
Regia di Tino Caspanello

 

TEATRO APERTO. Stagione di nuove drammaturgie


Ha inizio la stagione di teatro off a Vittoria.

Teatro Aperto, progetto dell’Associazione Santa Briganti, nasce come vetrina di alcune tra le più significative ed interessanti compagnie teatrali  della scena contemporanea italiana. La rassegna si pone come  complemento al cartellone di prosa del Teatro Comunale di Vittoria con l’intento di arricchire, diversificandola,   la proposta teatrale  e renderla così  più attenta al teatro del presente: nuovi testi, nuovi autori e nuovi linguaggi.
La stagione  si apre il 20 dicembre con il pluripremiato Nunzio della Compagnia Scimone-Sframeli, spettacolo che ormai da 15 anni calca le principali scene di tutta Europa.
L’8 gennaio sarà la volta della compagnia Ravennate  Teatro delle Albe che  porta in anteprima regionale l’ultimo gioiello della sua non-scuola: La Canzone degli F.P. e degli I.M. tratto dal capolavoro di Elsa Morante «il mondo salvato dai ragazzini».
Il 29  gennaio la Compagnia Pubblico Incanto  metterà in scena la  poesia e l’intimità di Mari, spettacolo insignito del Premio della Giuria Riccione Teatro 2005. 
A febbraio altra anteprima regionale con la straordinaria Giuliana Musso interprete di Nati in Casa, Premio Nazionale della Critica 2005, che affonda  nell’esperienza e nel vissuto  femminile. 
Ologrammi e manipolazione sonora sono la caratteristica di 84.06, spettacolo iper-tecnologico ispirato al libro cult 1984 di Geoge Orwell che la compagnia romana dei Santasangre mette in scena il 20 marzo.
La stagione chiuderà il 9 aprile con l’istrionico Andrea Cosentino nel suo emozionante, commovente ed esilarante  Asino Albino.
Grazie all’attiva collaborazione con l’ATS Spazio Zero abbiamo potuto inserire nel progetto un tassello dedicato alla formazione dei ragazzi di Vittoria: un laboratorio teatrale tenuto dalla Compagnia Quartiatri di Palermo.

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